La complessa simbiosi tra le formiche e l’acacia fischiante
Nelle savane del Kenya c’è un albero abitato esclusivamente da quattro specie di formiche. Esse sono: Crematogaster nigriceps, Crematogaster mimosae, Crematogaster sjostedti, e Tetraponera penzigi. L’albero in questione è l’acacia fischiante (Vachellia drepanolobium) e ne potrete vedere tantissime durante il vostro safari in Kenya. Ogni singolo albero ospita una sola specie di formiche, ad esclusione delle altre.
Abbiamo già parlato della simbiosi che intercorre tra le bufaghe e i grandi mammiferi in un altro articolo. Tra le formiche e l’acacia fischiante troviamo un’altra relazione mutualistica… o almeno così sembra…
Ma vediamo come…
04
SETTEMBRE 2020
Simbiosi
Formiche
Acacia fischiante
Leoni in accoppiamento tra le acacie fischianti. Naboisho Conservancy – 2020
Foto di Sara Gastaldi
L’acacia ha anche sviluppato ghiandole speciali chiamate “extra-floral nectaries” o, potremmo chiamarle in italiano, “nettarine”, sulla punta delle foglie, le quali producono una secrezione dolciastra ad uso esclusivo delle formiche, non avendo nulla a che fare con i fiori.
Formiche del genere Crematogaster e cocciniglie
Acacia fischiante (Vachellia drepanolobium) in fiore
La nigriceps è un predatore e attacca e si nutre di qualsiasi insetto osi avvicinarsi all’acacia, proteggendola, ma per difendere la propria casa dall’invasione di altre formiche, decide di potare l’albero. Sì, avete capito bene: lo pota, come un perfetto giardiniere, tagliando via i germogli orizzontali, facendo sì che la pianta cresca alta e sottile. In questo modo evita il contatto con gli altri alberi, i quali potrebbero celare colonie nemiche. La potatura permette anche alla pianta di stare meglio e di distribuire più energia ai nuovi germogli, alle foglie e alla produzione di ghiandole per il nettare più grandi, il che torna di vantaggio anche alle formiche stesse.
Acacia fischiante e ghiandaia marina petto lilla (Coracias caudatus)
Il mutualismo tra la pianta e le formiche nigriceps si trasforma in qualcosa che va ad assomigliare di più al parassitismo. Infatti, queste formiche recidono anche le gemme dei fiori, e in questo modo l’acacia non può più fare i frutti e riprodursi, diventando di fatto sterile. Gli scienziati hanno ipotizzato che l’acacia fischiante abbia “scelto” di scambiare la propria capacità riproduttiva con una salute più vigorosa e la protezione contro i predatori. Le acacie fischianti invece che ospitano formiche meno distruttrici sono ancora in grado di produrre semi e continuare la specie.
C. mimosae è l’ospite più comune e la più aggressiva, proteggendo l’acacia contro i mammiferi erbivori arditamente, elefanti inclusi, e si ciba del nettare offerto dalla pianta. Ma qui c’è un’altra svolta nella storia. Le mimosae, in determinate condizioni, possono anche allevare le cocciniglie all’interno della domatia, le quali si infilano nella linfa dell’albero per produrre la melata che verrà poi assunta dalle formiche. Ovviamente questo non è un bene per la pianta. (Anche se così aggressive, le mimosae sono parassitate da una specie di farfalle… scriverò un articolo su questo a breve).
Molto interessante il fatto che questi due tipi di formica, nigriceps e mimosae, conoscono i segnali chimici di allarme che le acacie utilizzano per comunicare e per difendersi, dei quali abbiamo parlato in un altro articolo: I sensi segreti delle piante africane.
Primo piano di una domatia (paio di spine modificate e rigonfie alla base)
Acacia fischiante in fiore
Come abbiamo detto in un altro articolo del nostro blog, le acacie reagiscono al fatto di essere mangiate dagli erbivori facendo crescere spine più lunghe, ma ovviamente non sprecano energia in questo processo se non ce n’è bisogno, come quando i rami raggiungono una posizione inaccessibile agli animali. L’acacia fischiante porta tutto questo su un altro livello. Oltre ad investire meno energia nello sviluppo delle spine modificate, se la pianta è protetta dai predatori, la pianta smette anche di produrre il nettare per le formiche. Quando succede, prima di tutto le mimosae cambiano il loro comportamento alimentare e iniziano a nutrirsi della melata prodotta dalle cocciniglie che allevano. Si tratta sicuramente di una plasticità ecologica di rilievo. Ma presto la salute della colonia verrà meno e una quarta specie di formica entrerà in gioco: Crematogaster sjostedti la quale prenderà possesso dell’albero. Queste formiche sono probabilmente la più grande fregatura di tutto il sistema mutualistico in discussione. In contrasto alle altre specie di formiche, sjostedti infatti si alimenta principalmente di piccoli invertebrati e non fa il nido nelle spine rigonfie, ma piuttosto nelle cavità dello stelo, aperte dalle larve dei cerambicidi, i coleotteri longicorni (long horn beetle). Mentre le altre formiche prevengono l’infestazione di questi insetti, questo tipo di formica in qualche maniera sembra attirarli o invitarli. Infatti quando queste formiche sono state rimosse dall’acacia nel corso di un esperimento, gli attacchi dei coleotteri si è ridotto in maniera significativa. Siccome gli alberi abitati da C. sjostedti sono quelli che crescono più lentamente e mostrano i tassi di mortalità più alti, i ricercatori sostengono che i cerambicidi siano un fattore significativo nella riduzione della loro vitalità.
Per non far mancare nulla, C. sjostedti si prende cura anche delle cocciniglie, le quali purtroppo causano altri danni alla pianta.
Whistling thorn acacia (Vachellia drepanolobium) inhabited by cocktail ants
Whistling thorn acacia (Vachellia drepanolobium) seed pods
Evidentemente, gli erbivori stimolano direttamente o indirettamente lo sviluppo delle spine rigonfie e la produzione di nettare fogliare, il quale fornisce l’ambiente ideale alle formiche. Quando questo stimolo o interazione tra gli erbivori mammiferi e l’albero viene a mancare o si riduce, tutto cambia. C. mimosae si ritira e si sviluppa una nuova costellazione di organismi e di interconnessioni. La specie C. sjostedti prospera, come l’infestazione dei cerambicidi, e l’albero cresce più lentamente e le probabilità di morire aumentano.
Cosa ancora più interessante è che non si tratta di una catena chiaramente definita di connessioni casuali. Non si può semplicemente dire che la mancanza di erbivori causa la minor produzione di zuccheri e di spine rigonfie, che a sua volta causa la dipartita di una particolare specie di formica, che a sua volta causa l’arrivo di un’altra specie, che causa l’infestazione delle larve di long horn beetle e che, infine, causa la morte della pianta.
Craig Holdrege, che ci ha spiegato questo molto bene, suggerisce una massima molto pertinente: “se trovi una spiegazione semplice, non fidarti, ma cerca la complessità.”, specialmente quando si parla di biologia e di ecologia. Solo così avremo una visione delle cose più realistica e complessa, quale è la natura stessa.